La morte è, più di ogni altra, una parola rimossa dalla nostra cultura. Persino nei tarocchi di Marsiglia, la tredicesima carta  (o arcano o lama per gli addetti ai lavori) che raffigura uno scheletro con una falce in mano..  è senza nome.

È una modalità piuttosto infantile il pensare che ignorando un problema, quest’ultimo si risolva (o dissolva) da solo. Indubbiamente ci sono delle situazioni in cui un eccessivo lavorio mentale non porta a soluzioni soddisfacenti e quindi.. meglio soprassedere.. ma qui la situazione è diversa: la morte fa talmente tanta paura che non si riesce nemmeno a nominarla. 

In effetti la morte fa sorgere tanti interrogativi ai quali in realtà non abbiamo mai dato una risposta convincente.

In qualche modo la morte spazza via tutte le nostre certezze o meglio ci fa capire che noi, come aveva ben capito Socrate, in realtà non sappiamo nulla

I vocabolari definiscono la morte come una cessazione, una perdita definitiva, una conclusione. Queste definizioni ne descrivano certamente degli aspetti veri, reali e importanti che sono inerenti, ma non c’entrano il punto.

Per definire la morte bisognerebbe definire la vita, per definire la vita bisognerebbe delineare la coscienza, rispondere finalmente alla grande domanda: chi siamo?

Chiarire chi vive dentro di noi, chi abita il nostro corpo, chi determina il nostro agire.. 

Certo per chi ha una visione e una impostazione materialista della vita, la morte giustamente spaventa, perché pare mettere fine a tutto quello che in cui si crede e con cui ci si relazione,   quindi non ne parla e non ne vuole sentir parlare… perchè non ha nulla da dire. 

Chi ama porsi qualche domanda in più, non può non sentire un certo fascino per questo grande mistero e lascerà aperte tante vie investigative. Sì perché la morte è legata a tutto, dal momento che ogni cosa che ci circonda sappiamo che si trasforma, in un certo senso finisce, smette di essere quello che è per diventare qualcos’altro. 

Nelle Costellazioni Familiari si indicano simbolicamente due spazi separati, uno centrale per i vivi, uno più periferico per i morti. Spesso si creano dinamiche per cui un lutto non viene elaborato serenamente (perché improvviso, perché ritenuto ingiusto, perché chi muore ha lasciato questioni aperte o per altre ragioni) e in qualche modo non si lascia andare il morto ma lo si trattiene. Questo fa sì che si crei disarmonia, perché il morto non è al suo posto e ciò crea una distorsione nel sistema, e tutti i componenti ne risentono.

A volte molte situazioni rimangono sospese tenendo in scacco tutti i componenti e, non essendo possibile un confronto chiarificatore o un’azione risolutrice sul piano materiale, la situazione si porta avanti con gli anni ed eventuali nuovi arrivati la ereditano senza poter far nulla. In questi casi la rappresentazione sistemica diventa una tecnica veramente preziosa e portatrice di guarigione in quanto offre una prospettiva più serena e luminosa e permette di poter dire ciò che non è stato possibile dire ed ascoltare ciò che non si è potuto ascoltare.

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