Solitamente questa parola viene usata con una accezione sociale, e spesso si leggono articoli o si sentono parlare persone che portano esempi di non accoglienza o di accoglienza forzata.
Molti pensano che sia giusto accogliere chi è meno fortunato, meno ricco, meno colto o abilei; molti ritengono che il diverso vada fraternamente accettato, ospitato, considerato alla pari e si indignano davanti a comportamenti ispirati e mossi dal pregiudizio, dalla diffidenza e dalla incapacità di una visione più ampia.
É sempre molto facile osservare la piccolezza degli altri, soprattutto quando le vicende non ci coinvolgono direttamente e, comodamenti seduti su una poltrona, siamo convinti di essere superiori, anche se stentiamo ad ammetterlo.
La parola in oggetto deriva dal tardo latino accoligere (ad colligere) e può essere tradotto come mettere insieme, accomodare e anche raccogliere, scegliere, legare insieme. Volendo approfondire il verbo colligere ha una doppia accezione di ligare (stringere qualcosa che è disperso, legare) e lègere (raccogliere, radunare.. da cui l’italiano collegio, collega, ecc.)
Di solito non è piacevole non venire accolti.. se una persona matura può farsene una ragione e semplicemente rivolgere altrove le proprie energie, una persona più infantile può sviluppare pensieri ed intenti di rivalsa e vendetta e provare emozioni di cui spesso non si rende neanche conto.
Questo stato d’animo di particolare vulnerabilità rende la persona che lo prova insicura, manipolabile, facile preda di chiunque voglia approfittare dei suoi punti deboli; alla lunga la sua ostilità inizierà a manifestarsi con atteggiamenti negativi e antisociali.
Tutto ciò ovviamente fa sì che il soggetto in questione venga percepito da chi lo ha respinto (o semplicemente non lo ha considerato), come pericoloso e quindi da isolare e da reprimere.. e si innesca una spirale viziosa in cui risultati sono sotto gli occhi di chiunque.
Accogliere è sempre una crescita, è aprirsi verso lo sconosciuto, all’integrazione, all’ampliamento, a sviluppare talenti e capacità che non si sapeva di avere. Accogliendo ci si arricchisce: nuove conoscenze, nuove opportunità, nuove sfide..
L’alternativa è chiudersi dietro le proprie sicurezze, mantenere la posizione raggiunta, ripetere la nostra routine, non oltrepassando mai quella zona di confort che, se al principio ci pare una conquista, sempre più diventa un limite invalicabile e una gabbia (neanche tanto dorata!).
La stessa cosa avviene anche dentro se stessi, per lo più in modo inconscio.
Parti di noi non integrate o non viste soffrono in silenzio, aspettando l’occasione giusta per manifestarsi e avere il loro momento di esaltazione.
Spesso ciò avviene nei momenti meno opportuni, come ad un colloquio di lavoro, davanti all’ autorità o ad un appuntamento importante. Quando più avremo bisogno di tutte le nostre risorse ci troviamo impauriti e bloccati.. si attivano delle risposte automatiche, delle paure, degli schemi comportamentali che non riconosciamo o che non ricordavamo.
Da dove vengono questi programmi? Chi gli ha scritti? Come possiamo conoscerli, indagarli, eventualmente modificarli o per lo meno renderli meno depotenzianti?
Si può partire dall’ accogliere varie parti di sé: le nostre ombre, le nostre paure, il nostro passato, i nostri errori, le nostre difficoltà, i nostri limiti.
Il lavoro delle costellazioni può dare degli utili spunti in questo senso in quanto crea un’occasione unica di poter ispezionare dall’esterno il nostro agire, di veder rappresentate le nostre sensazioni e i nostri sentimenti più nascosti, di poter esteriorizzare il nostro mondo interiore. Finalmente si compie quello che tante tecniche di meditazione indicano come risultato di una buona pratica: si diventa testimoni.
E’ difficile accettare che siamo molto lontani da essere individui integri, ma piuttosto siamo un insieme di pensieri, parole, tradizioni, i convinzioni e credenze tramandate da tante generazioni.
Tutte queste istruzioni, tutti questi programmi, tutti questi meccanismi hanno ognuno la sua ragion d’essere e vanno rispettati (e prima ancora visti).
Purtroppo non sempre queste presenze convivono pacificamente, anzi spesso sono in aperto contrasto e generano sbalzi di umore, sensi di colpa, rancori, fobie e possono manifestarsi anche in forme meno sottili, come comportamenti inappropriati, scatti d’ira, crisi di panico, fino a sviluppare vere e proprie malattie.
Accogliere non è scontato, non é un dovere morale, non è un’azione automatica ma è frutto di una volontà, di un intento ben preciso.. forse anche di una inclinazione naturale, ormai sopita e persa dietro a modelli educativi che nella forma contemplerebbero anche belle parole come accoglienza, equità, diritti e doveri, ecc, ma nella pratica alimentano visioni egoiche, molto spesso competitive, molto raramente collaborative. L’altro viene visto come un rivale o come una risorsa da utilizzare/sfruttare
Interessante notare come, in momenti di difficoltà, di tensione o di imbarazzo, l’altro possa essere immediatamente percepito con diffidenza e sospetto, e come facilmente possiamo sentire il nostro sistema sotto attacco e reagire in modo non proporzionato alla minaccia esterna.
Accogliere la diversità e l’inaspettato o l’incomprensibile: difficile che avvenga esteriormente se prima non avviene interiormente.